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La notizia ha ora carattere di ufficialità. Dopo tre anni anni di ricerche e contatti, spesso difficoltosi, sta per diventare realtà il progetto cinematografico fortemente voluto dai documentaristi Tiziano Gaia e Fabio Mancari: “Itaca nel Sole. Cercando Gian Piero Motti”, il film che indaga sulla figura del grande arrampicatore e scrittore torinese nato esattamente 70 anni fa, entra nella sua fase produttiva e dopo i sopralluoghi di rito si appresa a dare il via alle riprese.
L’idea del film nasce da lontano. Tiziano Gaia si è sempre occupato di altri temi, ma quando alcuni anni fa, grazie a un cugino scalatore, ha conosciuto l’epopea dei “pazzi del Verdon”, si è avvicinato alle storie di montagna e di lì ad ampliare il suo raggio di conoscenze fino a scoprire il Nuovo Mattino, i Falliti e la figura del suo straordinario capostipite, il passo è stato breve. Fabio Mancari invece di montagna si è occupato anche di recente, avendo firmato nel 2014 il grande successo de “L’Alpinista”, ispirato alla storia di Agostino “Gustìn” Gazzera, vincitore di numerosi premi e ancora oggi capace di riscuotere sbalorditivi riscontri di pubblico ovunque venga proiettato. Stuffilm, la casa di produzione indipendente di cui Mancari è socio fondatore, ha pertanto deciso di “bissare” impegnandosi nello sforzo produttivo del nuovo titolo.
Il film parte da una premessa narrativa fondamentale: nonostante l’aura quasi mitica che avvolge il protagonista, poco si sa (o meglio, pochi sanno e si vogliono pronunciare) sulla figura di Gian Piero Motti. Non parliamo tanto degli aspetti biografici, ma di quelli letterari, filosofici e simbolici di cui Motti ha voluto ammantare il proprio breve passaggio esistenziale.
Nato a Torino il 6 agosto 1946, Gian Piero brucia le tappe dell’apprendistato alpinistico nel rigido ambiente sabaudo ancora avvolto di eroismo retorico e spirito militaresco. Per Motti scalare non è soltanto un hobby: originario di una famiglia agiata, può permettersi di vivere di montagna e non avrà mai problemi a manifestare la sua estrazione borghese, tanto che di lui si ricorda che andava ad arrampicare in Lancia Fulva coupè e disponeva sempre dei materiali migliori. Per questo, oltre che per lo stile plastico ed elegante di arrampicata, viene soprannominato il “Principe”. Nel 1970 è da solo al Pilier Gervasutti sul Mont Blanc du Tacul, l’impresa alpinistica che lo rende famoso. Due anni dopo pubblica il primo dei due articoli-chiave della sua carriera e di un’intera generazione: “I Falliti”, nel quale attacca chi non sa più vivere senza montagna. Altri due anni e, nel 1974, esce il secondo, celebre scritto: “Il Nuovo Mattino”. Anche se in realtà si tratta di un excursus sul mondo dell’arrampicata libera californiana, viene da tutti letto come il manifesto di un nuovo modo di intendere l’arrampicata, non più come dovere, ma come puro piacere estetico e intellettuale. Ne deriva una corrente alpinistica vera e propria, con tanto di discepoli e adepti, che Motti – va detto – non fa nulla per alimentare. Comunque lo si voglia vedere, è il ’68 della montagna.